E’ sicuramente una delle più belle canzoni di tutti i tempi, e non solo del patrimonio napoletano, questa delicata e sublime poesia, dove l’amore semplice e appassionato è legato a quello struggente per la propria terra e la meravigliosa semplicità che essa sa trasmettere. Salvatore Gambardella non conosceva una sola nota di musica, anzi era quasi del tutto analfabeta ed aveva solo vent’anni quando, nella bottega di ferramenta di Vincenzo Di Chiara, (un fabbro ferraio che, a tempo perso, si dilettava, e con successo a scrivere canzoni, come la celebre “La spagnola”), in cui il nostro lavorava come garzone, entrò per caso, un giovanotto, Gennaro Ottaviano, che voleva far leggere dei suoi versi al Di Chiara. Il giovane Salvatore glieli strappò di mano e, ispirato da una folgorazione, prese il mandolino che sapeva strimpellare e suonò di getto le note che sarebbero divenute uno dei canti magici di Napoli. Non si può certo sapere fino a che punto la leggenda si mescoli alla realtà. Quello che c’è di vero è che Gambardella allora (siamo nel 1893), aveva 20 anni e che il suo istintivo e purissimo talento avrebbe fatto di lui uno dei cantori più alti che la gloriosa storia della musica napoletana ricordi. Se infatti questo “Marenariello” fu la sua prima canzone, altre, popolarissime ne seguiranno, come “Ninì Tirabusciò” e “Comme facette mammeta”. Era un figlio del popolo e la musica l’aveva nel sangue, l’aveva appresa nei vicoli, nei “quartieri”, in mezzo alla gente comune. Il suo talento fu riconosciuto perfino dal grande Puccini, che, ascoltato un suo pezzo (Furturella) e saputa della povertà dell’artista, volle addirittura regalargli un pianoforte per spingerlo a studiare. Inizialmente “‘O marenariello” fu pubblicata nel 1893 sul giornale “La Tavola Rotonda”, con i versi di Diodato Del Gaizo, ma successivamente essi furono sostituiti da un’altra lirica, di Gennaro Ottaviano, spontaneo e popolare canzoniere del tempo.
Il poeta
GENNARO OTTAVIANO (Napoli, 1874 – 1936)
Aveva diciannove anni ed era garzone di vinaio quando sostituì con dei versi suoi quelli scritti da Diodato Del Gaizo per una canzone le cui note erano, come al solito, cercate sul mandolino da Salvatore Gambardella (che non conosceva una nota di musica!). Il titolo originale della canzone era ‘O mare e bà!, e fu sostituito da Ottaviano con ‘O marenariello. E nessuno, allora, poteva prevedere che quel pezzo era destinata ad avere un successo senza tramonti. La canzone, da principio, fu proposta dalla giovanissima Emilia Persico al Nuovo Politeama, nella Villa del Popolo, una sera dell’agosto del 1893. Nell’adattamento dell’Ottaviano, la canzone provocò un’esplosione popolare di consensi. La melodia del Gambardella che attraverso i versi di Del Gaizo era appena canticchiata, prese di assalto le strade di Napoli per poi compiere viaggi molto lunghi. Certamente ci furono proteste e azioni giudiziarie promosse dal Del Gaizo, ma niente valse ad arrestare il successo di ‘O marenariello. A quella canzone l’Ottaviano ne fece seguire altre, versi semplici e a volte ingenui : ‘O paese ‘e Maria, Tu lieve ‘o quadro e i’ levo ‘o chiuovo, Margarì, ed altre ancora, tutte musicate da valenti compositori. Ma il suo nome era troppo legato a ‘O marenariello, perché le successive canzoni potessero avere un buon successo, tanto che soltanto pochi cantanti inserirono queste ultime in repertorio. Ottaviano, oltre a scrivere versi, mise su una rivendita di vini e, a distanza di anni, una segheria. Nel 1926 tentò l’editoria fondando una casa musicale cui diede il nome di ‘O marenariello. Un’impresa che non ebbe fortuna e che si concluse in pochi anni.
Vide ca sbatte ll’onna
comm’a stu core ccá;
de lacreme te ‘nfonne
ca ‘o faje annammurá…
Viene, ‘nterr’a ‘sta rena
nce avimm”a recrijá;
che scenne la serena…
io po’ stóngo a cantá.
Vicin’ô mare,
facimmo ‘ammore,
a core a core,
pe’ nce spassá…
Só’ marenaro
e tiro ‘a rezza:
ma, p”allerezza,
stóngo a murí…
Oje né’, io tiro ‘a rezza
e tu statte a guardá…
li pisce, p”a prijezza,
comme stanno a zumpá!…
E vide, pure ‘e stelle
tu faje annammurá…
ca stu marenariello,
tu faje suspirá…
Vicin’ô mare,
Vicin’ô mare,
facimmo ‘ammore,
a core a core,
pe’ nce spassá…
Só’ marenaro
e tiro ‘a rezza:
ma, p”allerezza,
stóngo a murí…